Paesaggi alpini e “libertà delle esperienze”

Architetture al Breuil-Cervinia di Carlo Mollino

Paesaggi fisici e mentali

Il mondo della città e del territorio declina in parte il lavoro di un artista: penso ai suoi luoghi fisici, al suo clima, ai caratteri degli abitanti, a quel qualcosa d’invisibile che appartiene a ogni città e territorio. E che li contraddistingue. Lisbona per Pessoa, Dublino per Joyce, il Veneto per Scarpa e il Piemonte per Gabetti & Isola hanno rappresentato lo scenario dove si sono svolti i loro racconti, hanno preso forma le loro architetture, ma anche il paesaggio attraverso cui hanno alimentato il pensiero e sviluppato la ricerca.

Sotto questa luce può essere utile decifrare le corrispondenze tra qualche scheggia del paesaggio valdostano e la Casa del Sole progettata da un architetto-artista cresciuto “architettonicamente” a Torino. Questa scelta riguarda l’interesse contingente per un certo atteggiamento progettuale, nei confronti delle tecniche costruttive e dei luoghi, che ha visto all’inizio degli anni Cinquanta il Piemonte e Torino diventare territori privilegiati, ricchi di iniziative non solo architettoniche. Come altri paesaggi italiani lì c’era una mescolanza significativa di presenze che ha concorso alla definizione di un “paesaggio mentale” particolare, dove l’intreccio tra la dimensione locale ed europea costituiva un tratto singolare nell’Italia del dopoguerra.

Negli anni Cinquanta Torino diventa un laboratorio di una “modernità” che ha radici profonde nella re-invenzione delle “tradizioni”: la presenza dei libri di Cesare Pavese, dei quadri di Luigi Spazzapan, degli scritti di Norberto Bobbio e delle sperimentazioni urbanistiche di Adriano Olivetti a Ivrea e nella Valle d’Aosta, ha formato una cultura nuova, aperta alle diverse esperienze provenienti dal sud Italia, dal nord Europa e al contempo intrisa di specificità locali. Alla facoltà di architettura insegnavano figure, poco note alle “Storie” dell’architettura, che in modi diversi hanno teso alla formazione di un architetto attento alle questioni del paesaggio, delle tecnologie e dalle loro applicazioni esasperate. Questi architetti insegnavano e costruivano[1] partendo da posizioni interne al Movimento Moderno, fuori però dai suoi slogans e dalle sue omologazioni formali. Non si trattava dunque di una “ritirata” dall’International Style, bensì di una “messa in discussione” dei suoi postulati.

Esperienze autobiografiche e professionali in Valle d’Aosta

“L’architettura stessa di Mollino, artista, è autobiografica; questo è un momento della sua biografia [...] In quest’epoca nella quale siamo implicati nei più giganteschi avvenimenti della storia, l’autobiografia è l’espressione vera e legittima”. Così Gio Ponti commenta nel 1944 la Casa sull’altura pubblicata sulla rivista “Stile”: una casa disegnata da Carlo Mollino che rappresenta una sorta di dichiarazione poetica. In questo progetto convivono molteplici riferimenti “analogici” molliniani: dalle memorie storiche ai virtuosismi tecnologici, dalle fantasticherie mentali all’ascolto del paesaggio, dall’individualismo insofferente alla trasfigurazione degli elementi tradizionali. Al progetto della Casa sull’altura Mollino allega uno scritto che diventa occasione per definire la sua idea di mestiere. “Così con disegno conseguente, accusai l’insufficienza di una critica, più o meno canonica, esclusivamente rivolta all’esame dell’opera finita, astratta dall’autore e dal suo mondo, non solo, ma dal suo travaglio denunciato dall’opera medesima, esclusa la considerazione determinata dagli urti successivi nel tempo, dell’artefice con la materia”. Lo scritto[2] contiene indicazioni preziose per la descrizione di questa sua alpine architektur. Esse riguardano il mondo dell’autore, cioè la sua autobiografia; il travaglio dell’edificio, ossia le circostanze che presiedono al progetto; gli urti, ovvero gli spostamenti progettuali, provocati dall’intricato rapporto del progettista con la natura dei materiali e delle tecniche.

Carlo Mollino impiega otto anni, dal 1947 al 1955, per progettare e costruire la Casa del Sole che la Società cooperativa edilizia “Breuil-Cervinia”, di cui era azionista[3], gli aveva commissionato. Ma il suo rapporto con Cervinia e la Valtournanche è un rapporto di lunga data che si precisa nel tempo attraverso una moltitudine di esperienze autobiografiche[4].

Nel 1930, ancora studente, egli esegue una serie di rilievi delle architetture rurali valdostane. Osservando i disegni raccolti in una specie di taccuino d’appunti[5] traspare la conoscenza di Mollino dell’architettura minore di discendenza walser. È una architettura costruita spesso con un basamento di pietra che contiene le stalle e con una parte superiore realizzata in legno che contiene la casa vera e propria appoggiata su un elemento funzional-decorativo, il bolero. I disegni testimoniano l’attenzione per le questioni costruttive, per i dettagli d’incastro degli elementi lignei e per il funzionamento delle cerniere delle porte. Le analisi di Mollino non sono folkloristiche: sono semmai indagini precise fondate sulla comprensione delle prassi utilizzate nel passato. Sono rivolte “al come” quelle architetture erano costruite e assemblate. Così il ridisegno delle baite è momento conoscitivo, serbatoio di suggestioni, catalogo di soluzioni da migliorare e portare sempre agli “estremi” attraverso nuove esperienze.

Nel 1939 Carlo Mollino progetta una Casa ad alloggi a Cervinia. La casa è pensata per un sito vicino alla stazione della funivia. Ma è utile segnalare la presenza del basamento di pietra, elemento di mediazione tra l’irregolarità del terreno e linearità dell’edificio; la presenza dei ritti che sorreggono la falda del tetto, che seguono la linea strapiombante del fronte verso sud; la rappresentazione sintetica dello schema della struttura di cemento armato a reticolo. Vi è un disegno significativo che esprime quasi tutti gli aspetti del progetto, dall’inserimento nel sito alla distribuzione funzionale, dallo schema strutturale alla scelta dei materiali. Lì tutto ciò è rappresentato simultaneamente. E tale simultaneità, di trattare i vari aspetti del processo progettuale, caratterizza il fare di Mollino e connota quasi tutti i suoi disegni iniziali. In questo progetto vi sono molteplici elementi provenienti dalla tradizione alpina che sembrano portati al limite della loro riconoscibilità. Si potrebbe dire che i frammenti dei rascard sono re-impiegati in forma astratta: perché sono stemperati da altre suggestioni e forse anche dalla condivisione di un certo linguaggio architettonico di matrice internazionale. È un’appartenenza che appare dalla lettura delle piante, dove la suddivisione interna si rifà ai manuali di tipologia abitativa degli anni Venti del Novecento. È un’appartenenza, però, mai passiva, semmai dialettica e critica. Che rimanda a “una delle più interessanti e affascinanti proposte ideate dalla cultura architettonica” e urbanistica italiana degli anni Trenta: il Piano regolatore della Valle d’Aosta[6] del 1936, un Piano che non cede al razionalismo internazionale, né ai richiami allo stile vernacolare.

Ripercorrendo altri progetti per Cervinia è utile analizzare il Centro Sportivo in Verticale Quota 2.600. Fin dai primi disegni emerge che si tratta di una costruzione verticale che domina il paesaggio, dialogando con il monte Cervino, per Horace Bénédict de Sausurre “lo scoglio più bello d’Europa”. Qui il dialogo con il paesaggio non avviene in maniera mimetica, come invece sembra avvenire nel Rifugio Pirovano di Franco Albini: un edificio, vicino alla Casa del Sole, dove il rapporto con il paesaggio si in vera attraverso la riproposizione quasi letterale degli elementi dell’architettura delle baite. E che fa scrivere a ManfredoTafuri che si tratta di un edificio caratterizzato da “ideologie populiste”[7]. Al contrario Mollino propone un edificio verticale che si adagia autonomamente al terreno, che declina la figura di alcuni castelli aostani, che si rifà a un’idea di edificio comprendente una pluralità di funzioni disposte verticalmente. È un’idea che ha origini antiche, passa attraverso alcune esperienze di Leonardo e Robert Adam, e si preciserà nel Novecento mediante qualche esperienza progettuale di Le Corbusier. Osservando la sezione trasversale dell’edificio di Mollino, affiora il nesso con questa idea. In basso giacciono i negozi, il ristorante, la sala da ballo; in mezzo gli alloggi; in alto lo sci-club, la scuola di sci e una terrazza collegata alle piste con un ponte. La scuola di sci “è una costruzione staccata e aggiunta che ha una sua caratteristica strutturale di grande interesse. La forma a triangolo è la capriata stessa a sbalzo legata sotto e sorretta da due portanti. Questa struttura dà luogo, al di sotto, a un portico e nel suo interno racchiude tutta la casa. Effettivamente si tratta di un edificio sopra un altro”[8]. Se si confrontano simultaneamente la descrizione e l’analisi del disegno affiorano due temi architettonici importanti; da un lato il tema dell’autocitazione, il disegno dello sci club è l’origine del segno di altri due progetti eseguiti da Mollino, Villa Carando (1947) e la Casa a capriata (1951); dall’altro quello della superfetazione, cioè della costruzione di un edificio sopra un altro, realizzato secondo criteri formali e costruttivi differenti. Ma è utile focalizzare l’attenzione su un’altra questione: che si riallaccia all’idea di organismo verticale e tocca il tema della rappresentazione di una “sostanza”.

Il Centro Sportivo in Verticale costituisce una sorta di “filtro dove si entra cittadini e di esce (in alto) sciatori”. L’edificio diventa in questo modo un struttura ascendente capace di accogliere il cittadino e trasformarlo in qualcos’altro. Al di là dei contenuti simbolici che appartengono al concetto di trasfigurazione, l’idea dell’edificio-filtro era un termine di confronto per alcuni architetti della “età della ragione”. In particolare, penso al carattere degli edifici utilitaristici di Claude Nicolaus Ledoux progettati per le Saline, dove l’architettura rappresenta la trasfigurazione dell’acqua in forza dinamica. Queste architetture molliniane – come intuisce Giò Ponti in una lettera scritta a Mollino – sono così la declinazione formale “di una sostanza”[9] storica.

Un processo progettuale “estremo”: idee, conoscenze e circostanze

Il progetto per la Casa del Sole inizia nel mese di aprile 1947 e dovrebbe dare corpo alle esperienze maturate durante la progettazione del Centro Sportivo in Verticale. Ma la natura speculativa dell’edificio e i molteplici travagli progettuali[10] impediscono a Mollino di mettere in forma tutte le idee maturate in precedenza. Sin dai primi schizzi emergono molteplici differenze. Innanzitutto la casa a capriate posta sul tetto perde sia l’autonomia formale e costruttiva che il suo carattere di edificio “in bilico” sospeso nel vuoto: non ha più il tetto a doppio spiovente ma a falda unica, né il ponte di collegamento alle piste. Inoltre non c’è più l’ampio sbalzo che la connotava, che rafforzava il carattere di rifugio estremo aggrappato al tetto. Dall’osservazione dei disegni preliminari affiora che l’edificio avrebbe dovuto costruirsi su una sorta di stilobate: un piazzale che avrebbe dovuto nobilitarne l’ingresso. Non solo: nello schizzo il fronte principale, rivolto a sud, si definisce dalla sequenza dei tiranti strapiombanti; mentre il fronte laterale, rivolto a ovest, è caratterizzato da un setto murario senza finestre.

Analizzando il disegno intitolato Schema della facciata a mezzogiorno. Sezione trasversale affiorano alcuni elementi che caratterizzeranno il progetto definitivo. Innanzitutto il confronto tra il fronte sud e la sezione trasversale evidenzia che si tratta di un edificio alto e sottile, lungo 35 metri, largo 11 e alto circa 30. La sezione rappresenta il piano terreno che contiene l’ingresso e i negozi; due piani superiori che contengono il ristorante, il bar e la sala da ballo; cinque piani che contengono gli alloggi con terrazzo esposto a sud; due piani attici senza terrazzo. I terrazzi esposti a sud hanno larghezze crescenti verso l’alto: sono sostenuti da ritti portanti inclinati che corrono dal primo piano degli alloggi sino ai piani alti, definendo otto campate con interasse di circa 4.5 metri. Il fronte nord, verso il Cervino, è caratterizzato da finestre “a nastro”, mentre il fronte sud, verso valle, ha finestre a “tutt’altezza”. I fronti laterali sono di pietra a spacco.

Nel mese di giugno 1947 l’architetto presenta una nuova versione del progetto. Si tratta di un disegno[11] intitolato Cervinia Casa ad alloggi. Prospetti e Sezione trasversale. Rispetto alla versione precedente non vi sono modifiche sostanziali; però viene introdotto un basamento di pietra, una nuova scalinata d’ingresso e un nuovo disegno dei fronti laterali che in questa versione hanno lo spigolo verso nord rastremato verso l’alto, rendendo l’edificio sgraziato e forse legato a reminiscenze espressionistiche.

Questa versione è superata da un’altra soluzione che viene pubblicata nel numero 226 della rivista diretta da Gio Ponti, “Domus”. Il progetto subisce modifiche sostanziali[12]. Come si vede nella Pianta alloggi grandi l’edificio è ridotto in lunghezza: adesso ha perimetro rettangolare di circa 18 metri per 12. Rispetto alla versione precedente, che conteneva due vani scala per consentire l’accesso a quattro o sei alloggi per piano, qui ne appare un solo che serve due o tre alloggi, costituiti da soggiorno, tre stanze da letto piccole, cucina e bagno. Il soggiorno è esposto a sud e ha un ampia superficie vetrata attraverso cui si accede al terrazzo. Il bagno e la cucina sono esposti a nord. Nella pianta i fronti sud e nord sono caratterizzati da una fitta serie di montanti che sostengono la superficie vetrata, mentre i fronti est e ovest sono connotati da uno muro di pietra. Inoltre s’intravede la struttura portante dell’edificio, costituita da pilastri e travi in cemento armato, con maglia di circa 4,25 per 6 metri. Si tratta di uno schema semplice che risponde bene al requisito principale richiesto a un edificio speculativo per alloggi: avere una notevole flessibilità interna. Per questo la Casa del Sole deve essere spiegata attraverso l’analisi delle fronti e delle sezioni.

Il disegno più ricco di suggestioni è lo schema del fronte sud. Così la redazione di “Domus” trasla la relazione di progetto della Casa del Sole: “davanti è tutta terrazze, ogni alloggio ha la sua terrazza al sole: la facciata ‘pende’ in fuori […] ciò non toglie il sole che d’inverno è basso. In alto una villa. Il prospetto è bellissimo, vivente, elegante col gioco dei legni e dell’intonaco bianco. I fianchi, in pietra, hanno una sola infilata di finestre, il retro tutto di legno ha esili strisce orizzontali di finestre [...] rientra sotto ogni finestra eliminando i davanzali sui quali si accumulerebbe la neve [...] Fra le innovazioni è il finale del tetto a doppia falda e la sostituzione dei canali verticali di gronda con catene lungo le quali l’acqua scorre o si gela in stalattiti”[13]. Al di la di questa lettura, persuasiva e retorica, sono i fronti dell’edificio e i particolari costruttivi[14] che rivelano la “problematica molliniana”: che coniuga il rifiuto del folcklore alla presa di distanza dagli slogans dell’International Style; che “manipola” le figure delle baite valdostane; che si confrontarsi con la sintassi del linguaggio razionale, uscendo dai “dettami formali” rappresentati nelle riviste patinate. Mollino abilmente chiude queste facciate assai diverse tra i fronti laterali di pietra.

Nello Schema fronte sud[15] sono compresenti disegni tecnici e schizzi prospettici di progetto, frammenti di monumenti (il castello di Malgrà e il Palazzo di Potala a Lhasa in Tibet) e parole come, “vedi particolari”, e “naturale opposizione tra l’architettura ascendente sul monte e quella orizzontale sulla pianura”. Questa combinazione di molteplici riferimenti, insieme alla “tensione” provocata dalla declinazione degli elementi strutturali del prospetto, quali le mensole e i tiranti strapiombanti di cemento armato, – individuati anche attraverso l’operazione grafica di ri-disegno dell’edificio – rimandano al pensiero analogico di Carlo Mollino. Un pensiero che definisce la sua idea di architettura, ricco di riferimenti – conosciuti direttamente o attraverso le fotografie del tempo – fatto di concatenazioni impreviste, scientifiche e autobiografiche, privo però di velleità rifondative e omologazioni internazionali. Un pensiero che trova una traslazione architettonica attraverso l’ascolto dei paesaggi, il potere dell’immaginazione, la conoscenza degli arnesi del mestiere e l’utilizzo “esasperato” delle tecniche costruttive. Ma un utilizzo che non rappresenta il fine: rappresenta semmai un mezzo limitato del processo progettuale che s’infrange nella libertà delle esperienze.

Cesare Piva


[1] Questo testo riprende la “lecture” Italian Architecture of the Fifties. Genesis and Comprehension of three buildings…, tenuta all’University College of Dublin, presso il corso di progettazione architettonica di John Tuomey, il 21 febbraio 2001. Cfr. Roberto Gabetti, Variabili e costanti della cultura architettonica torinese: dal 1945 ad oggi, con un passaggio al futuro, in Architettura e Urbanistica a Torino 1945/1990, a cura di L. Mazza e C. Olmo, Umberto Allemandi & C. Torino 1991, pp. 86-122.
[2] Cfr. Carlo Mollino, Disegno di una casa sull’altura, in “Stile”, n. 40, aprile 1944, pp. 2-11.
[3] Pier Enrico Seira, Casa del sole. Cervinia 1947-55, in Carlo Mollino 1905-1973, catalogo della mostra, Torino 5 aprile-30 luglio 1989, Electa, Milano 1989, pp. 210-212. La società per azioni “Cervino” vende alla società cooperativa edilizia “Cervina” il terreno sui cui sorgerà l’edificio, cfr. Planimetria del terreno, BCA, Archivio Mollino, Torino, P. 12 A, 176, 136. Ringrazio Elena Tamagno e il personale dell’archivio.
[4] Cfr. Bruno Reichlin, Mollino sulle Alpi, in “Casabella”, n. 588, marzo 1992, pp. 30-31.
[5] Cfr. Carlo Mollino, Rilievi di architetture rurali valdostane, 1930. Si tratta di un taccuino contenente gli elementi dell’architettura rurale alpina dell’alta valle di Gressoney e di Valtournanche.
[6] Cfr. Giorgio Ciucci, Le premesse del Piano regolatore della Valle d’Aosta, in Costruire la città dell’uomo. Adriano Olivetti e l’urbanistica, a cura di c. olmo, Edizioni di Comunità, Torino 2001, pp. 55-82.
[7] Manfredo Tafuri, Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Giulio Einaudi editore, Torino 1986, p. 20.
[8] Una costruzione di oggi a Cervinia, che deve entusiasmare tutti gli sciatori. Villaggio in verticale a Cervinia, in “Domus”, n. 226, 1948, p. 14.
[9] Lettera del 3 novembre 1947, AM, corrispondenza 1947-1948, C. 2. 4.
[10] Una soluzione prevedeva l’edificio disposto perpendicolarmente rispetto all’orientamento definitivo, cfr. Condominio del Sole, sistemazione garage, agosto 1953, AM, P. 12A, 175,60.
[11] Cfr. am, P. 12A, 168, 25.
[12] Si tratta dal progetto analogo a quello presentato al Comune per l’autorizzazione edilizia, cfr. Planimetria del terreno sul quale la società Breuil intende costruire la “casa ad alloggi”, sett. 1947, AM, P. 12A, 175, 72.
[13] Una costruzione di oggi a Cervinia, che deve entusiasmare tutti gli sciatori. Villaggio in verticale a Cervinia, in “Domus”, n. 226, 1948, pp. 9-10.
[14] Cfr. Casa del Sole, Cervinia, Particolare fissaggio serramenti fronte sud, 31 settembre 1953, AM, P. 12 A, 175, 58.
[15] Cfr. AM, P. 12 A, 168. 28.

“Aión. Rivista internazionale di architettura”, n. 6, 2004, pp. 112-129. ISSN 1720-1721

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