Terragni come autobiografia

Può un libro essere letto come un progetto di architettura? Io credo di sì. Almeno in parte. Questo volume dimostra come la combinazione di idee, di immagini e di parole possa in qualche modo rappresentare il “gioco combinatorio” dell’atto progettuale. Eisenman non lascia dubbi; anzi, è perentorio sin dall’Introduzione. “Questo libro è il lavoro di due architetti”. In queste parole risiede tutta l’intenzione del progetto analitico: ossia definire alcune corrispondenze, certamente non lineari, tra il lavoro di un architetto rivoluzionario degli anni Trenta e il lavoro di un intellettuale della contemporaneità. Qui Eisenman annulla il tempo, la storia, le circostanze, scandaglia le forme, comunica l’incomunicabile. In questo volume – sapientemente impaginato, ricco di ri-disegni e di immagini ingiallite – re-inventa Terragni, elaborando il suo “io latente”, rammentando le sue esperienze progettuali, dialogando a distanza con Tafuri e Rowe.

Sorge una domanda. Qual è il confine tra l’analisi e la re-invenzione? Qual è la linea di demarcazione tra l’architettura di Terragni e l’impalcato ideale di Eisenman? Qual è la separazione tra l’esercizio critico e l’esercizio formale? L’intreccio è così fitto che risulta difficile separare i due momenti operativi. Leggendo il volume, ho pensato a Istanbul di Pamuk (2006). Un libro costruito con parole, immagini e ricordi, dove il legame con la città significa che il destino di Istanbul può diventare il carattere di una persona, Istanbul come autoritratto, in altre parole. Nel volume di Eisenman affiora Terragni come intellettuale “famigliare”, Terragni come architetto da scomporre, sezionare, smembrare, Terragni come architetto da ri-comporre, assemblare, ri-portare criticamente nel presente, Terragni, o meglio le sue due case di Como, da ricondurre sempre di nuovo in una cornice urbana, come del resto testimonia l’ultimo disegno del libro che rappresenta la pianta dei piani terreni dei due edifici sulla trama della città. Alla fine tutti questi tentativi critici diventano Terragni come autobiografia, Terragni come Eisenman.

In questo senso possono essere interpretate queste parole del libro. “Quando Rossi scrisse in italiano la sua molto personale Autobiografia scientifica era suo desiderio pubblicarla inizialmente solo in lingua inglese. La mia quarantennale odissea con Terragni può considerarsi la mia biografia”.

Cesare Piva

“Aión. Rivista internazionale di architettura”, n. 12, 2006, p. 147. / ISSN 1720-1721

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