Stanze e Frammenti

La casa-museo di John Soane a Lincoln’s Inn Fields

Prologo

Vi è stato nel lavoro della critica il tentativo d’interpretare il Soane’s Museum come un’architettura che esprime la questione della “collezione” privata, oppure un’architettura che esprime il problema del rapporto con il mondo autobiografico di John Soane[1], oppure un’architettura che mette in forma la teatralità degli spazi interni come le tenebre della “luce misteriosa”[2]. In realtà, oltre a questi temi, la Casa-Museo rappresenta la problematica ambigua del frammento, o meglio della frammentazione, e può suggerire – in termini critici[3], quindi non filosofici, né storici – una sua mediazione positiva.

Succede spesso di usare il termine frammento quando si tenta di decifrare alcune opere di Soane. Nella ri-costruzione della Banca d’Inghilterra (1788-1833) Soane sembra definire una vera e propria poetica del frammento; una poetica fondata sulla combinazione di figure architettoniche, sull’incompiutezza dell’organismo edilizio, sulla stratificazione di “spazi spezzettati” sopra uno schema planimetrico in apparenza geometrico. Persino in opere e progetti più compiuti, come la Dulwich Picture Gallery (1811-1817) e il disegno del British Senate House (1778), dove c’è il desiderio di raggiungere una discreta unitarietà formale, la moltiplicazione degli elementi sembra il risultato di un processo progettuale basato sulla concatenazione di singolarità e sulla giustapposizione di elementi formali. Gioco e combinazione di frammenti, concatenazioni di figure, moltiplicazione, stratificazione e contrazione di spazi sono problemi compositivi ardui da comprendere se si applica linearmente i canoni di lettura “vitruviani”. L’architettura di Soane sembra decriptabile[4] attraverso l’analisi di alcune esperienze pittoriche del primo cubismo. In realtà, questa è la mia supposizione, la sua architettura è anche decifrabile mediante il confronto con alcune idee antiche – il concetto di non-finito espresso dal sublime[5] – e recenti – la poetica della de-costruzione – come con alcune circostanze connesse all’atto progettuale e al cantiere. Nell’architettura soaniana la problematica della frammentazione entra in parte, ossia in maniera discontinua, nella storia delle idee e nella storia delle conoscenze dei mestieri.

Sorge una domanda. Cosa significa accostare la parola frammentazione a un uomo complesso e paradossale come John Soane (1753-1837)? Un architetto eclettico e appassionato che dichiara nelle sue Lectures alla Royal Academy di voler costruire un’architettura monumentale, unitaria e grandiosa, alla maniera degli architetti “rivoluzionari” francesi. Un architetto che studia e comprende Jean-Nicolas-Louis Durand, che ri-disegna il Pantheon, and so on. In altre parole è corretto sovrapporre a Soane la parola frammentazione – parola assai ambigua – senza darle un significato “altro”?

Frammentazione: problema ambiguo

La parola frammentazione ha molteplici significati. Può alludere alla polverizzazione delle forme o dei pensieri, può significare cose rotte o perdute, può essere considerata metafora della nostra condizione presente. A questi significati, certamente negativi, si possono accostare altri significati che si sono delineati nel tempo. Ossia significati che in qualche modo considerano il frammento un qualcosa che apparteneva, in passato, a un oggetto compiuto e straordinario oppure un qualcosa che potrebbe aprire, in futuro, a nuove forme di compiutezza attraverso concatenazioni originali e poetiche, quindi difficili da descrivere e al contempo non “luttuose”, né solo “de-costruttive”[6]. Oppure, ancora, significati che considerano una forma di compimento, ancora latente e “in attesa”, la concatenazione di frammenti in apparenza banali od ordinari.

Non è quest’ultimo il significato espresso dal disegno di Aldo Rossi intitolato Fragments? Non è questo il significato del progetto Berlin Masque di John Hejduk? Ancora: non sono questi i significati espressi da alcuni quadri di Pablo Picasso e di Paul Klee? Infine, non è questo il senso che ha cercato di narrare Roland Barthes nel libro Frammenti di un discorso amoroso? Un senso che implica una “visione” soggettiva, o meglio un’esperienza soggettiva, che vorrei precisare attraverso una citazione che dovrebbe concorrere a riabilitare le parole “frammento” e “frammentazione”.

“Chi dice frammento – scrive Maurice Blanchot – non deve dire soltanto frammentazione di una realtà preesistente o momento di un insieme ancora a venire […] Dobbiamo sforzarci di identificare nell’’esplosione’ o nello ‘scompaginamento’ un valore non puramente negativo. Così il poema frammentario è un poema non incompiuto, ma che apre un altro modo di compimento: quel modo che è in gioco nell’attesa, nell’interrogare o in una affermazione irriducibile all’unità”[7].

Lascerò presto questo “spazio letterario”. Ma prima vorrei focalizzare l’attenzione sul concetto tracciato dal filosofo francese. Qui la frammentazione convive con la speranza di delineare una forma di compimento “diversa”, che può celarsi nelle opere discontinue o “spezzettate”, che deve essere ri-trovata singolarmente attraverso l’attesa dell’esperienza diretta. Una forma di compimento che deve scaturire soprattutto nell’atto combinatorio,  che manifesta la tensione a tenere insieme la disgregazione naturale degli oggetti come a sovvertire i rapporti delle cose, che è rappresentata nella ri-costruzione e nell’ampliamento della Casa-Museo di John Soane.

Alcune stanze ai numeri 12, 13 e 14 di Lincoln’s Inn Fields

La Casa-Museo è un’architettura che prende corpo lentamente nel tempo. Si ri-costruisce dentro alcuni edifici che hanno uno schema tipologico che appartiene all’architettura domestica georgiana. Ha origine nel 1796, cresce e si modifica negli anni, si conclude nel 1837. È dunque un’architettura che si re-inventa dal proprio passato. E da esso trae vincoli, costrizioni e suggestioni progettuali.

Non solo: la Casa-Museo sorge a Lincoln’s Inn Fields. Una grande piazza di Londra che prende corpo sull’area di un vecchio giardino dove nel medioevo era luogo di passeggio e di svago. Un luogo che mantiene la sua vocazione, nonostante le spinte speculative iniziate nel Seicento, che nel tempo assume un disegno quasi unitario. Si tratta di un “frammento di ordine cercato” dentro una città che nella sua storia urbana ha quasi sempre rifiutato disegni geometrici regolari. Un frammento urbano che fa scrivere a John Summerson che “two great rectangles crystallize north of the Strand, in the ‘Covent Garden’ and the fields by Lincoln’s Inn; and the houses which border them are conspicuous by trim discipline – uniform, ungabled fronts”[8].

Lì, a Lincoln’s Inn Fields, nella schiera di case di mattoni che delimitano il lato nord del grande square, John Soane acquista l’abitazione al numero 12. Si tratta di una casa che sorge su un lotto lungo e stretto, che ha uno schema tipico della casa georgiana descritto dai manuali edilizi del periodo: la cosiddetta casa front to back. Una casa di Georgian London che, nonostante alcune lievi variazioni, connoterà la forma urbis delle città inglesi durante il periodo georgiano (1713-1830 circa), che John Soane farà demolire tra il 1792 e il 1794.

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Se si osserva la pianta della casa al numero 12 di Lincoln’s Inn Fields, nel 1796, affiora che l’architetto allinea la nuova costruzione alle vecchie abitazioni del lato nord della piazza. Al di là di alcune variazioni minime, la nuova casa mantiene la tipologia della casa georgiana. Si riconosce l’ingresso rialzato dal piano strada, la scala collocata nella parte centrale del lotto, il Dining Room verso la piazza, la Breakfast Room, un piccolo cortile e lo Studio di architettura. Nella Veduta della Breakfast Room (1798) è rappresentata l’invenzione soaniana. Oltre al soffitto con volta a crociera, a forma di stella marina, nell’acquarello emerge, a sinistra, una banda asimmetrica, sulla quale si imposta la volta, che consente di collocare il soffitto sull’asse di simmetria dell’adiacente Dining Room. Si tratta di un’invenzione progettuale che consente, insieme al disegno delle doghe del pavimento, di definire una sequenza “classica” di stanze disposte lungo l’asse principale, nonostante le costrizioni dettate dalla natura del lotto e dalle scelte di carattere distributivo. In questa fase della costruzione, dunque, emerge l’intenzione progettuale di dialogare che alcuni criteri “convenzionali” della composizione, come l’utilizzo degli assi direttori e della sequenza di stanze.

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Nel 1810 la casa si amplia verso nord-est. Soane acquista le scuderie della casa adiacente, dove colloca una zona museo, o “Dome”, a doppia altezza e il nuovo Studio di architettura a due piani. È l’origine del segno della Casa-Museo: lì John Soane inviterà i suoi studenti della Royal Academy a visitare i suoi calchi e i suoi modelli. Ma questo pezzo di casa è descrivibile attraverso la sezione trasversale, che ha un titolo emblematico: View of various architectural subjects belonging to John Soane (1811). Qui è rappresentata l’architettura del “Dome”. Una stanza costituita da una tribuna centrale a doppia altezza – sorta di chiesa a tre navate con matronei – illuminata da un lucernario a pianta circolare di ferro e vetri colorati. Una stanza che giace sul nuovo asse – perpendicolare, quasi, al precedente della Breakfast Room -, che definirà la crescita verso est.

Qui è soprattutto rappresentata l’idea di museo: un’idea che si fonda sull’accumulo di frammenti, antichi e recenti, veri e falsi, disposti liberamente, incrostati alle pareti, capaci, in un certo senso, di celare l’architettura che li contiene. Qui l’ordine apparente dell’architettura lascia il posto all’ammasso di rovine provenienti da mondi lontani, dall’ampio calco che riproduce la trabeazione del tempio di Castore e Polluce (verso est) alle urne cinerarie collocate nelle mensole disposte a sud e a nord, and so on. Qui i frammenti della storia non forniscono risposte rassicuranti. In questa stanza dell’incompiuto o del non-finito[9], John Soane invita i suoi studenti a riscoprire e a combinare soggettivamente, definendo nuovi significati, le rovine provenienti dall’antichità. I frammenti sono in attesa di una nuova vita architettonica, ossia di una nuova forma di compimento capace di conferire, attraverso i meccanismi oscuri dell’immaginazione, nuovi significati a pezzi ormai divenuti banali e insignificanti.

Ciò è espresso molto bene dalla Veduta dell’area del Dome verso est (1811). Si tratta di una veduta “amplificata”, alla maniera di Gio Battista Piranesi, che fa vedere non solo le scaffalature sostenute da colonnine di metallo, ma soprattutto il modello in sughero del Tempio di Vesta a Tivoli, sporto verso il vuoto centrale – “in bilico”, se vogliamo – eppure re-interpretato da Soane per la costruzione del noto Tivoli Corner alla Banca di Inghilterra (1803-1805). Qui si coagulano le immagini romane a quelle provenienti dalla cattedrale di St. Paul a Londra, il classico al barocco, lo statico all’effetto dinamico. Nell’architettura di John Soane i modelli di riferimento formali, analizzati durante il Grand Tour (1778-1780) e studiati con pazienza nella sua straordinaria biblioteca, si fondono e si re-inventano sempre di nuovo.

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Osservando la pianta della Casa-Museo nel 1822 emerge che la ricostruzione dell’abitazione al n. 13 sia ormai completata. L’intervento consiste nella riduzione del cortile posteriore, nell’inserimento di un nuovo ingresso e di una nuova scala. Nell’area del vecchio cortile, John Soane inserisce la nuova Breakfast Room a ovest del Monument Court, uno spogliatoio e uno studio a est, una nuova scala che conduce all’interrato, un’altra scala che conduce allo Studio di architettura posto al piano superiore. Inoltre, al posto dello Studio di architettura inferiore, l’architetto prevede altri spazi espositivi e inserisce la Picture Room al posto del vecchio studio collocato a nord. Infine prevede la nuova Dining Room e la nuova biblioteca con loggia verso la piazza.

L’edificio è una casa di mattoni a tre piani che re-inventa l’architettura domestica di georgian london. Al di là della celebre e non convenzionale loggia costruita in Portland stone, vorrei focalizzare l’attenzione su un disegno che fissa la peculiarità di questa architettura dell’Ottocento. Si tratta della Sezione trasversale verso est dell’area del Dome e della Breakfast Room (1818). Pur essendo un disegno tecnico, questa sezione trasversale non svela le logiche costruttive dell’edificio, né i segreti del cantiere: svela semmai l’ambiguità di questa architettura che è Museo e simultaneamente abitazione. È dimora, ossia scena fissa della vita domestica, e al contempo spazio museale, ossia scena fissa della storia, o meglio di frammenti di storia dell’architettura, dell’arte e della scultura. Se a sinistra del disegno è rappresentato il museo, “scapigliato” e autobiografico, di John Soane, il suo articolato e libero rapporto con la storia, a destra è rappresentato un luogo importante della sua vita famigliare: la Breakfast Room con la cupola “a baldacchino”. In questa stanza, oltre ai “capricci” di Charles-Louis Clérisseau, oltre ai disegni di Johann Heinrich Füssli, si cela la sua straordinaria famigliarità con l’impiego delle volte sottili e leggere.

Qui Soane applica la moltitudine di esperienze accumulate durante la costruzione degli spazi a volta della Banca d’Inghilterra. La Breakfast Room, si può dire, è la riduzione domestica del Bank Stock Office (1791-1792), uno spazio bancario che origina da una preesistenza “neo-palladiana”, che si declina attraverso uno schizzo di George Dance jr, che si misura con sistemi costruttivi dell’architettura romana e di quella francese del Settecento, i pots di terracotta a forma di tronco di cono che garantiscono leggerezza e facilità di messa in opera. Una spazio dove la leggerezza della cupola “a baldacchino” si salda alla solidità della massa muraria che la sostiene.

Alla Breakfast Room, invece, Soane annulla il peso della massa muraria: al n. 13 di Lincoln’s Inn Fields rimane solo la leggerezza della cupola “a baldacchino”. In questa stanza è difficile trovare modelli di riferimento che possono spiegare linearmente l’architettura. Non sono sufficienti le analogie formali con la volta a ombrello del Canopo a Villa Adriana, né con l’interno di Santa Sofia a Costantinopoli per spiegare questa stanza straordinaria. Sono semmai utili analogie con brandelli di conoscenze tecniche o di immagini del passato che Soane concatena liberamente attraverso la sua immaginazione (parola usata spesso nelle sue Lectures alla Royal Academy). Alla Breakfast Room e in alcune volte della Banca d’Inghilterra, egli sembra considerare l’architettura “un’arte d’invenzione”[10], un’arte in grado di andare oltre a se stessa, che si misura con i processi oscuri legati alla re-immaginazione del passato.

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Nel 1823 Soane amplia ancora la Casa-Museo acquistando il n. 14 di Lincoln’s Inn Fields: la ragione principale riguarda la necessità di destinare più spazi alla collezione dei dipinti.  Il tema è ricostruire il blocco delle vecchie scuderie, poste sul retro della casa georgiana esistente, e definire una nuova Picture Room al piano terreno, un Monk’s Parlour finto gotico al piano seminterrato, un Monk’s Yard, sorta di cortile romantico pavimentato con frammenti provenienti dal palazzo di Westminster. Osservando la pianta del piano terreno della Casa-Museo nel 1837 emerge questa complessa concatenazione di stanze: in alto la stanza per la collezione di quadri, in basso il giardino romantico, in mezzo il vuoto sul Monk’s Parlour collocato al piano inferiore, visibile attraverso le pareti mobili – in grado di accogliere un numero maggiore di dipinti – della Picture Room. Se la Picture Room è collocata sull’asse principale della casa, l’asse che attraversa longitudinalmente le tre fasi costruttive e che tiene insieme gli ampliamenti, se in qualche modo questa stanza rappresenta l’ordine di una corretta esposizione museale, il Monk’s Parlour al piano inferiore rappresenta la polivalenza degli spazi interni, la moltitudine delle forme, la teatralità dell’architettura, la manipolazione della luce e delle ombre, l’universo delle cose e delle rovine appartenenti al mondo autobiografico di John Soane.

Tutto ciò è espresso dalla Veduta prospettica del Monk’s Parlour disegnata da Joseph Michael Gandy nel 1825. Oltre alle illusioni ottiche rappresentate dal disegnatore prediletto di Soane[11], l’acquerello fissa l’architettura di questa concatenazione straordinaria di stanze. Un’architettura costituita da una navata centrale – alta, stretta e illuminata dall’alto – sulla quale si affacciano, in alto e a destra, la parete mobile della Picture Room, in basso a destra una porzione della Monk’s Room, in basso a sinistra una nicchia che contiene un frammento del modello della Banca d’Inghilterra. Un’architettura, inoltre, che esprime l’espansione e la contrazione degli spazi, la sequenza e gli slittamenti delle stanze, il gioco delle luci e delle ombre, la giustapposizione e l’ammasso, spesso, di cianfrusaglie collezionate da Soane nel corso del tempo. Un’architettura, ancora, descritta ne A London Life di Henry James (1888), che coglie l’”inglesità” del sotterraneo di Lincoln’s Inn Fields, tetro e terrificante. Un’architettura, infine, che può essere decifrata scandagliando i criteri combinatori impiegati dei pittori cubisti e surrealisti dei primi anni del XX secolo. Artisti che accostavano, durante l’atto della pittura, le rovine o le macerie di un mondo ormai privo di significati e convenzionale. Artisti che trovavano, attraverso la concatenazione soggettiva, pennellata dopo pennellata, nuove forme di compiutezza, insoliti significati, originali definizioni di compattezza formale. Artisti, insomma, che “trovavano” una “nuova integrità metaforica e poetica”. È questo il sentiero critico che si deve percorrere per abbozzare una spiegazione architettonica della Casa-Museo a Lincoln’s Inn Fields? È sufficiente descrivere alcune stanze che la compongono per capirne i segreti? È sufficiente trovare analogie possibili con l’avanguardia figurativa del Novecento? Io credo di no! E per questo ritorno all’inizio di questo mio racconto critico.

Epilogo: nuova forma di compimento?

Si è detto: la Casa-Museo è un’architettura che cresce lentamente dal e nel proprio passato. Cosa si intende dire? Si intende dire che Soane non riesce a mettere in forma la sua intenzione iniziale: ossia definire ex novo un museo che si costruisce impiegando criteri classici della composizione, quali la simmetria, la sequenza di stanze, l’ordine e il rigore spaziale. Non riesce per le costrizioni dettate dalla natura del lotto e dalle giaciture fissate dai muri portanti delle case esistenti. Non riesce, soprattutto, per la natura del progetto, che, come alla Banca d’Inghilterra, si svolge per momenti successivi. Non riesce, infine, per i “compromessi tattili” connessi all’atto del progetto e descritti precisamente da Glenn Gould.

Si intende dire, ancora, che Soane, quando ri-progetta alcune parti delle sua casa, ha davanti a sé una situazione sempre diversa, dinamica, che muta nel tempo, perché ogni suo progetto altera radicalmente la condizione precedente. In altre parole la Casa-Museo è pensata come un qualcosa che si misura con il non-finito. Un qualcosa che non può raggiungere una forma di compiutezza, perché muta quotidianamente con l’aggiunta di un singolo frammento, con l’inserimento di uno specchio o di una parete mobile, con l’aggiunta di un quadro o di un cartoon, con il variare delle intenzioni progettuali di Soane. Quindi si tratta di un qualcosa di erratico, perché trasla e si modifica nel tempo, “sempre e di nuovo”.

Al di là delle possibili analogie con il concetto di non-finito espresso dall’Enquiry di Edmund Burke, con il quale l’architetto si è misurato[12], è utile focalizzare l’attenzione su una forma di incompiutezza rappresentata da questa Casa-Museo. Una forma che è stata colta nel 1836 da Isaac D’Israeli. “Alcuni hanno innalzato nei Poemi edifici architettonici stupendi, ma più rari sono coloro che hanno scoperto, una volta terminata, la costruzione della loro Casa, ammesso che una simile Casa possa mai essere considerata finita, che avevano costruito un Poema”.

Oltre alle analogie con l’atto della scrittura, D’Israeli coglie un aspetto importante. Coglie come la Casa-Museo sia una architettura intrinsecamente frammentata: e dunque impossibile da decriptare linearmente utilizzando categorie interpretative “classiche”. La Casa-Museo è una architettura che sposta l’attenzione dall’oggetto al soggetto fruitore, dall’analisi scientifica dei “principi” compositivi all’ascolto imperfetto dell’esperienza individuale, dalla lettura asettica alla critica. È il soggetto fruitore, o meglio siamo noi, che attraverso il gioco dell’attesa, attraverso l’atto della decifrazione soggettiva, può pre-vedere una nuova forma di compiutezza. È lui, o meglio siamo noi, che deve entrare fisicamente in questa Casa-Museo e sforzarsi di trovare nell’intreccio delle stanze e nella moltitudine dei frammenti un insolito e poetico modo di compimento.

Cesare Piva


[1] Cfr. Rafael Moneo, Four Quotations, Four Notes (1981), in Inspired by Soane, a cura di C. Woodward, Sir John Soane’s Museum, London 1999, pp. 22-31.
[2] Cfr. Helene Furján, Sir John’s Spectacular Theatre, in “AA Files”, vol. 47, estate  2002, pp. 12-22.
[3] Sulle deformazioni della critica, sorta di “seconda coscienza” dell’opera, cfr. Mario Lavagetto, Eutanasia della critica, Giulio Einaudi editore, Torino 2005.
[4] Cfr. Robin Middleton, Soane: spazi e frammentazione, in John Soane architetto. 1753-1837, a cura di M. Richardson e M-A. Stevens con una sezione curata da H. Burns per l’edizione italiana, catalogo della mostra, Vicenza, 16 aprile-20 agosto 2000, Skira, Milano 2000, pp. 26-37.
[5] Cfr. Cesare Piva, Una visione archeologica della Bank of England di John Soane, in “Aión”, n. 4, 2003, pp. 136-145.
[6] Cfr. Dalibor Vesely, Architecture in the Age of Divided Representation. The Question of Creativity in the Shadow of Production, The MIT Press, Cambridge Mass. 2004.
[7] Maurice Blanchot, L’entretien infini, Gallimard, Paris 1969, ed. it., L’infinito intrattenimento. Scritti sull’insensato gioco di scrivere, Giulio Einaudi editore, Torino 1977, p. 410.
[8] John Summerson, Georgian London (1945), Barrie & Jenkins, London 1988, p. 10.
[9] Cfr. John Soane, Crude Hints towards an History of my house in L.I. Fields, London 1812. Qui Soane s’immagina la sua casa in rovina, in attesa di essere scoperta.
[10] Howard Burns, Una veduta a distanza: la mostra di Soane a Vicenza, in John Soane architetto, cit., p. 288.
[11] Cfr. Brian Lukacher, Joseph Gandy. An architectural Visionary in Georgian England, Thames & Hudson, New York 2006.
[12] Cfr. Cesare Piva, La visione archeologica della Bank of England di John Soane e il problema del non-finito, relazione nel seminario Le macchine del progetto. Tecniche della rappresentazione e della composizione, Facoltà di architettura,  Torino 25 maggio 2005, in corso di pubblicazione.

“Aión. Rivista internazionale di architettura”, n. 14, gennaio-aprile 2007, pp. 128-141. / ISSN 1720-1721

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